Il futuro delle città viaggia a 30 chilometri orari

Articolo pubblicato sul sito de L’Essenziale/Internazionale.

Foto di Michele Lapini.

Aumentare la sicurezza stradale, soprattutto per i cittadini più fragili. Promuovere la mobilità sostenibile riducendo l’inquinamento e le emissioni. Favorire l’economia di prossimità e i negozi di vicinato. Ma anche rendere lo spazio pubblico più bello e democratico. Questi sono gli obiettivi delle città30, dove il limite di velocità per tutti i mezzi è fissato a 30 chilometri orari: un nuovo modello che ha già preso piede in diversi paesi del mondo, e che ora si sta affacciando anche in Italia. 

Da questo giugno Bologna è la prima grande città italiana a 30 chilometri orari. Prima c’era stata Cesena, che aveva fatto da apripista nel 1998, seguita nel 2021 da Olbia. Per diventare una città30, però, non basta solo abbassare il limite di velocità: si tratta di un intervento più ampio e complesso, infrastrutturale ma anche culturale, per riqualificare l’ambiente urbano con lo scopo di restituire lo spazio pubblico ai pedoni e ai ciclisti. 

“In Italia consideriamo ancora la strada come il regno dell’auto”, dice l’urbanista Matteo Dondè, specializzato in pianificazione della mobilità ciclistica, moderazione del traffico e riqualificazione degli spazi pubblici. “È un problema in primis culturale: siamo l’unico paese dove il pedone ringrazia l’automobilista per essersi fermato alle strisce pedonali. La bici è ancora considerata ‘di sinistra’, l’auto ‘di destra’, e se rispetti il limite di velocità sei visto come uno sfigato”. 

Dondè spiega che all’estero sono decenni che si ragiona su un altro paradigma: “Nel Regno Unito già negli anni settanta veniva teorizzato il concetto di living street, per ridare la strada alle persone. A Parigi cinque anni fa il lungosenna è stato chiuso al traffico. All’inizio ci sono state grandi polemiche, ora è diventato la nuova piazza della città. A Firenze invece il lungarno, uno dei panorami più belli al mondo, è ancora invaso dalle auto”.

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