Così la fine del reddito di cittadinanza colpisce le vittime di violenza

Articolo pubblicato su Altreconomia.

Quando ha lasciato il marito che la picchiava, Alessia aveva sei figli da mantenere. Lavorava ma ha scelto di licenziarsi per mettersi in sicurezza. Arrivare a fine mese era difficile, soprattutto in una città costosa come Roma. Così è finita in una casa rifugio per donne vittime di violenza. Ha fatto domanda per ricevere il reddito di cittadinanza, che dopo qualche mese le è stato riconosciuto: insieme agli assegni familiari, arrivava a prendere circa 1.600 euro al mese. Con i soldi messi da parte, Alessia (il nome è di fantasia, come gli altri di questo articolo) si è poi trasferita con i figli in un piccolo paese nel Sud Italia: ha trovato un nuovo lavoro, e questo le ha permesso di ricominciare.

Dal primo gennaio 2024 il reddito di cittadinanza verrà definitivamente sospeso, e questo rischia di compromettere i percorsi di uscita dalla violenza di molte donne. “Grazie al reddito di cittadinanza molte donne hanno lasciato il maltrattante e hanno trovato il coraggio di iniziare una nuova vita”, spiega Federica Scrollini, operatrice del centro antiviolenza BeFree di Roma. “Quel sostegno economico è stato volàno per la ricerca di una nuova autonomia che comprende casa, lavoro, cura di stesse e dei figli. Senza questa base di partenza, molti percorsi di fuoriuscita dalla violenza non vedranno la luce. D’altronde, con un mercato del lavoro in asfissia, i servizi sociali ridotti dall’osso e l’ennesima crisi economica alle porte, dove possiamo andare senza soldi?”.

Secondo l’Istat il 38% delle donne inserite in un percorso di uscita dalla violenza ha subìto anche violenza economica. Il 60% non ha autonomia finanziaria, quota che sale al 69% se si considera la fascia tra i 18 e i 29 anni. Alcune di loro per ricominciare hanno fatto ricorso al reddito di cittadinanza, che da gennaio 2024 sarà sostituito dall’assegno di inclusione, concesso a tutte le famiglie con un minore, una persona con disabilità o con più di 60 anni, oppure con componenti svantaggiati inseriti in programmi di cura e assistenza certificati dalla pubblica amministrazione. L’importo è fino a 6mila euro l’anno, 500 al mese, più un contributo affitto di 3.360 euro l’anno, 280 al mese: il totale è di un massimo di 780 euro al mese, l’equivalente del reddito di cittadinanza. La misura prevede alcune agevolazioni per le donne vittime di violenza: nel conteggio dell’Isee, le donne potranno costituire nucleo familiare indipendente da quello del marito, e non avranno l’obbligo di partecipare percorsi di inclusione lavorativa, né di accettare le proposte di lavoro eventualmente offerte. “Il problema è che l’assegno esclude di fatto le donne che non hanno figli a carico, anche se si trovano in una situazione di difficoltà economica”, denuncia l’organizzazione ActionAid.

Per le donne che non hanno figli, dal primo settembre c’è la possibilità di richiedere il supporto per la formazione e lavoro, pensato per le famiglie con una persona in grado di lavorare (i cosiddetti “occupabili”). Questo sussidio però è molto più ridotto -350 euro al mese- ed è vincolato alla partecipazione a progetti di formazione e di accompagnamento al lavoro individuati dal governo. Il limite massimo di Isee per ottenerlo, inoltre, è stato abbassato a 6mila euro, molto meno rispetto ai 9.360 euro del reddito di cittadinanza: gli “occupabili” che si trovano nella fascia intermedia restano senza aiuti. ActionAid ha lanciato quindi una petizione per chiedere al governo di garantire reddito, lavoro e autonomia abitativa affinché le donne non ricadano nella violenza.

“Nei nostri servizi ci sono diverse donne che ancora ricevono il reddito di cittadinanza”, afferma Simona Lanzoni, vicepresidente della fondazione Pangea e coordinatrice della rete nazionale antiviolenza Reama, che ha aperto lo sportello Mia Economia sulla violenza economica. “Da gennaio rischiano di perdere quella sicurezza economica: ancora non sappiamo che cosa succederà. Comunque il reddito di cittadinanza non era una misura risolutiva: è utile in una fase iniziale, ma poi oltre quello che cosa c’è? In Italia mancano i sostegni al lavoro”.

Leggi l’articolo completo su Altreconomia.